La messa a fuocoSenza ripetere quanto si è già detto trattando della messa a fuoco in pratica, va precisato che la messa a fuoco deve essere tanto più attenta quanto più grande è il rapporto di riproduzione. In pratica ciò significa che la messa a fuoco sarà assai impegnativa quanto più è:
- vicino il soggetto o l’oggetto che si vuole a fuoco;
- lunga la focale dell’obbiettivo
Infatti, ciò che si inquadra risulterà più grande in una ripresa dalla distanza di 2 metri che non da 5 m. o con una focale da 200 mm piuttosto che con una da 50 mm. Si ricorderà come il rapporto di riproduzione sia fornito dalla formula, ormai nota, g = f : (p – f) dove sono
- f = focale dell’obbiettivo;
- p = distanza del soggetto
E’ pertanto evidente che g ( quindi anche la dimensione del soggetto sul negativo) crescerà al crescere del valore di "f" (dividendo) o al diminuire di "p" (elemento prevalente nel valore del denominatore).
Nella tabella che segue si riportano, per evitare una ricerca nel testo, quelle indicazioni già fornite in precedenza
Richiamo tecnico : ricordiamo che il Rapporto di riproduzione permette di calcolare le dimensioni che il soggetto avrà sul sensore o sulla pellicola.
Es. Come si è detto, se si fotografa un bambino alto un metro dalla distanza di 3 metri con una focale di 50 mm
Si ha g = f : (p – f) cioè, nel caso, g = 50 : (3000 –50) = 50 : 2950 = 0,0169;
Ciò significa che il soggetto sulla pellicola sarà grande l’ 1, 69% del reale ovvero, più speditamente, le sue dimensioni saranno date dalla sua dimensione reale moltiplicata per g; nel nostro caso 1000 x 0,0169 = 16, 9 mm
Con una focale da 80 mm si avrebbe g = f : (3000 – 80) = 80 : 2920 = 0,0274
Le dimensioni sul negativo sarebbero 1000 x 0,0274 =27,4 mm
Si noti che è 80 :50 = 1,60 e che è 27, 4 : 16,9 = 1,62; ciò significa che le dimensioni del soggetto negativo variano, quasi esattamente, al variare del rapporto delle focali.
Semplificando estremamente : focale doppia dimensione doppia
Il mosso
Per evitare immagini mosse occorre usare un tempo sufficientemente breve.
La velocità di otturazione da impostare dipende da più fattori:
- velocità di movimento : del soggetto o di chi fa la ripresa;
- distanza del soggetto: quanto più vicino è il soggetto tanto maggiore dovrà essere la velocità di otturazione;
- direzione del movimento rispetto alla fotocamera : minore rischio di mosso se il soggetto va verso l’obiettivo, maggior rischio se si muove da sinistra a destra o viceversa;
Particolare importanza ha la distanza del soggetto: anche il ritratto di una persona ferma può risultare leggermente mosso se si scatta da molto vicino o si usa un forte tele. In entrambi i casi potrebbe bastare un lieve movimento delle mani del fotografo o un movimento degli occhi della persona (es. un battito di ciglia)
Occorre, tuttavia, tenere presente che non sempre il mosso è da evitare.
Vi sono almeno due situazioni in cui il mosso può essere ricercato:
- quando si vuol dare l'impressione del movimento
- quando si riprendono scene con acqua che scorre o, anche, ampie distese di acqua.
In questi casi l'acqua non è mai ferma.
Bloccarla con tempi di scatto molto rapidi ( più brevi di 1/60) darebbe uno sgradevolissimo effetto di acqua "congelata".
E' questo un errore in cui si cade facilmente nelle riprese in buona luce dove, specie se si lavora in automatismo, verrà impostato un tempo di 1/125 o di 1/250.Di seguito sono riportate alcune foto esemplificative. Cliccando su di esse se ne richiama un formato sufficientemente grande per esame attento.
Le prime tre, riportate di seguito, si riferiscono a riprese di acqua con effetto di mosso, mentre nelle altre due successive l'acqua è stata bloccata.
"Onda" xxxxxx "Torrente" xxxxxx "Fontanone"
Nelle due immagini sotto riportate, si può notare come, nell' immagine del " Fontanone bis ", l'acqua risulti bloccata se confrontata con la corrispondente immagine del primo gruppo. Tuttavia, malgrado che il soggetto fosse in ombra l'apparecchio fotografico ha impostato un tempo non sufficientemente lungo per dare una adeguata impressione di movimento dell'acqua.
Nella fotografia della "Fontana nel parco", scattata in buone condizioni di luce, l'acqua alla sommità del getto sembra, addirittura, un involucro di plastica."Fontanone bis" xxxxxx "Fontana nel parco"
L’esposizione
E’ ora di svelare qualche piccola bugia
In precedenza, si è detto che una corretta esposizione si ottiene quando l’esposimetro ci segnala che la coppia tempo/diaframma impostata è corretta. Che ciò non sia del tutto vero era stato già avvisato trattando dei diversi tipi di esposimetro. Si era, infatti, già segnalata la necessità di valutare le indicazioni dell’esposimetro secondo il sistema di lettura (spot o media) e secondo la zona di lettura. Si era altresì avvisato della necessità di familiarizzare col proprio esposimetro per comprendere in che misura questo risponda alle nostre attese.
Vi sono altri ordini di motivi, finora non menzionati, che possono trarci in inganno.
- La mancanza di reciprocità (concerne solo le riprese su pellicola ed è di scarsa rilevanza pratica per il comune dilettante)
- Una non esatta rispondenza tra sensibilità indicata e sensibilità effettiva
- L’uso di focali diverse e degli zoom
- Il significato di “corretta esposizione”. secondo i costruttori di esposimetri
- mancanza di reciprocità
Secondo quanto si è detto in precedenza, per una data luminosità del soggetto, l’esposimetro fornisce una serie di coppie tempo/diaframma assolutamente equivalenti : vale a dire che esporre con f: 8 e 1/250 è la stessa cosa che esporre con f: 11 – 1/125 oppure f: 4 – 1/1000, ecc. .
Questa affermazione non è più esatta se si usano tempi brevissimi (es. 1/10.000) o molto lunghi (es. 10 secondi).
In questi casi l’esposizione indicata dall’esposimetro deve essere modificata seguendo le istruzioni riportate su foglio che accompagna la pellicola.
La correzione necessaria può essere assai sensibile : uno “stop” o più.
Non è possibile fornire indicazioni generali in quanto la correzione varia secondo il tempo di esposizione e secondo la pellicola che si usa.
- Sensibilità inesatta Le fotocamere digitali consentono di impostare la sensibilità per ciascuna ripresa. E' quindi possibile scegliere di scattare impostando 100, 200, 400 o più ISO secondo la luminosità della scena e l'accuratezza dei dettagli che si desidera.
E' certamente un grande vantaggio rispetto alla pellicola.
Occorre tuttavia tener presente che spesso la sensibilità indicata non corrisponde a quella reale.
Pertanto, chi è abituato a fotografare e si avvale delle impostazioni manuali può cadere in errore ritenendo di poter impostare, per quella ripresa f:8 e 1/250 con 100 ISO, ma se la sensibilità effettiva è inferiore la foto risulterà un poco sotto esposta.
E' pertanto opportuno fare pratica con la propria fotocamera verificando se le indicazioni esposimetriche rispondono alle attese. Un sistema molto semplice è quello di fare prove inquadrando il cartoncino Grigio KodaK.
Ma attenzione, la verifica va fatta per tutte le sensibilità che è possibile impostare, in quanto l'errore potrebbe interessare solo alcune sensibilità od essere diverso a seconda della sensibilità impostata.Si può obbiettare che le fotocamere sono dotate di esposimetro e che, se si lavora in semi-automatismo, la fotocamera provvederà da sola ad impostare il corretto tempo di scatto per il diaframma da noi scelto.
Verissimo. Tuttavia il costruttore potrebbe aver definito i tempi in base alla sensibilità nominale. Inoltre, anche se i tempi rispondessero alla sensibilità effettiva, ci si troverebbe a scattare con un tempo di otturazione diverso (più veloce o più lento) di quello desiderato.
Si consideri ancora che, lavorando in manuale, si può ritenere di non dover controllare la lettura esposimetrica se prima si è scattato ad 1/125 ed ora, avendo impostato 200 invece di 100 ISO, si ritiene di poter scattare a 1/250.
Ulteriori problemi, infine, si potrebbero avere usando Flash sui quali deve essere impostato il diaframma di lavoro in base alla sensibilità cui è regolata la fotocamera. Il problema non è gravissimo ed interessa solo i fotografi più esigenti.- uso di focali diverse e degli Zoom
Teoricamente, obbiettivi con focali diverse non dovrebbero porre alcun problema di esposizione e, quindi, nemmeno gli zoom.
Si è detto, infatti, che se una esposizione è corretta con f: 8 –1/250 quando si usa un obiettivo da 50 mm., la stessa esposizione è corretta se si usa un 28 od un 200 mm.
Occorre considerare però che l’esposimetro fornisce i dati in base alla luce che riceve dalla zona che “inquadra”
Supponiamo di fotografare una casa in campagna di colore scuro con davanti un prato e dietro un’ampia zona di cielo, usando tre diverse focali
- un 28 mm inquadrerà molta parte del cielo (molto luminosa) la casa ( zona scura, ma di piccole dimensioni a causa della focale usata) una buona porzione del prato (scarsamente luminoso)
Supponiamo che l’esposimetro fornisca una esposizione (media delle tre zone) di f:11 – 1/250 a causa della forte influenza del cielo molto luminoso e che occupa un’ampia zona dell’inquadratura.
- Usando un 50 mm, il cielo occuperà una zona più piccola mentre cresceranno le dimensioni della casa e lo spazio occupato dal prato
L’esposizione suggerita potrebbe essere f: 8 –1/250
- Se si usasse un 200 mm, la casa occuperebbe gran parte dell’inquadratura ed il cielo non sarebbe presente od occuperebbe una piccola porzione.
L’esposizione potrebbe diventare f: 5,6 o 4 –1/250
Conclusione : è sempre opportuno effettuare la misurazione esposimetrica dopo aver scelto la focale e stabilita l’inquadratura.
L’uso degli Zoom deve indurre a maggiore attenzione : la facilità e la rapidità con cui si effettua il cambio di focale ci fa spesso dimenticare di ricontrollare l’esposizione prima dello scatto
Ma vi sono altri motivi per cui QUESTA VERIFICA è ancora più importante negli zoom ?
Questi obbiettivi, generalmente, non sono in grado di adeguare il diaframma impostato alla nuova focale.
Ciò significa che se impostiamo il diaframma 8 con la focale di 28 mm., quando aumentiamo la focale a 80 mm quel valore di 8 ( che abbiamo lasciato impostato) corrisponde in realtà a 11 o più./i> Vediamo brevemente perché
Nota tecnica : leggere solo se interessa
Ricordiamo che il diaframma f: 8 significa che l’apertura per la quale passerà la luce ha un diametro pari ad 1/8 della focale.
Questo modo di esprimere il valore di diaframma consente di affermare che impostando un dato valore, ad es. f: 8, la luce che riceverà la pellicola sarà sempre la stessa: sia che si usi un 28 mm o che si usi un 200mm. Ciò a condizione che, quando si imposta il diaframma f: 8, il 28 mm abbia un’apertura di 3,5 mm di diametro ( 28 :8 ) e che il 200 mm. abbia una apertura di 25 mm (200 : 8).
Gli zoom, purtroppo, non effettuano (generalmente) un completo adeguamento dell’apertura al variare della focale.
Se si ha uno zoom 28 - 80 mm, la cui luminosità dichiarata dal costruttore è f: 3,5 –4,5, significa che se si imposta il diaframma su 3,5 con la focale di 28 mm l’apertura sarà di 8 mm (28 : 3,5), mentre con la focale di 80 mm l’apertura sarà di soli 17,7 mm (80 : 4,5) e non di 22,9. Come sarebbe necessario per mantenere un diaframma effettivo di f:3,5. Ne consegue che - pur lasciando impostato il valore di f: 3,5 - il diaframma reale sarà 4,5 (80 : 17,7)
- Il significato di corretta esposizione
Si disse che una esposizione è corretta quando l’immagine non è né troppo chiara né troppo scura e che l’esposimetro era in grado di fornirci le coppie tempo/diaframma che rispondevano a questa esigenza.
Ma è vero ?
Si, nella maggior parte dei casi. Ciò in quanto, nella maggior parte dei soggetti, le alte luci e le ombre hanno una luminosità equidistante rispetto alla media .
Tuttavia, come si è già avuto modo di dire, occorre modificare le indicazioni dell’esposimetro quando vi siano zone eccessivamente luminose (o queste siano molto ampie) o, al contrario, vi siano zone molto scure e queste abbiano una notevole estensione.
Tutto poi dipende dall’importanza che si dà alle zone di luminosità estrema ed alla loro “leggibilità”.
Ma vi è una considerazione assai più importante : quale resa consideriamo corretta ?
Generalmente, quella che ci restituisce la stessa impressione avuta dal vivo. Ciò significa che se una zona era fortemente luminosa nella realtà dovrà esserlo anche nella fotografia. Analogamente, se era scura deve essere scura.
Attenzione però ! Deve comunque risultare leggibile.
Tale regola può non essere sempre seguita per due motivi :
- impossibilità di trovare una esposizione che salvi luci ed ombre ( i sensori e le pellicole hanno una capacità limitata di riprodurre grandi differenze di luminosità)
- una scelta soggettiva di “bruciare” alcune luci o “tappare” determinate ombre, per personali motivi espressivi.
Tornando al caso più generale di una resa realistica, occorre tenere sempre presente che la lettura esposimetrica fornisce valori per una corretta riproduzione di un cartoncino grigio che rifletta il 18% delle luce che riceve.
Ne consegue che se si fotografa un soggetto molto luminoso l’esposimetro fornirà un esposizione adatta a riprodurlo con la stessa luminosità del cartoncino di riferimento. Lo stesso dicasi se si fotografa un soggetto molto scuro.
In termini semplici : se fotografiamo un paesaggio innevato illuminato dal sole, seguendo le indicazioni dell’esposimetro, la neve risulterà grigia. Dovremo quindi esporre per due diaframmi più aperti (Es. non f:16 – 1/250, ma f:8 –1/250.)
Analogamente, fotografando un interno molto buio, una indicazione di f:3,5 – 1 sec. Porterebbe ad una resa eccessivamente luminosa (in cui tutto è più visibile che nella realtà) ; si dovrà quindi esporre per f:3,5 - 1/2 o 1/4 .
Nella realtà le cose possono essere ancora più complicate: si immagini di fotografare l’interno di una chiesa molto buia, ma il cui altare risulti ben illuminato da un raggio che filtra da una finestra. Se si espone per l’altare, parte della chiesa può risultare completamente illeggibile, se si espone per le zone più buie, l’altare risulterà “bruciato” o sgradevolmente sovresposto .
Che fare ? In genere conviene avere una resa soddisfacente dell’ altare (se necessario, anche leggermente più chiara del vero), ma mantenere leggibili le ombre meno intense e “tappare” completamente quelle più scure.
Questa è una indicazione di massima. In realtà ci si dovrà regolare sul posto; cercare, eventualmente, una inquadratura diversa che permetta di rendere accettabili le ombre completamente “chiuse”.
Se ne potrebbe fare una inquadratura che riduca la estensione delle zone più scure od ottenere un interessante effetto scandendone il profilo su una zona più chiara.
E’ difficile da capire? Sono d’accordo. Occorre pratica.
Il problema è poi anche più complicato : la nostra scelta deve tener conto anche di come saranno riprodotte le immagini :
- stampa
- proiezione su schermo
- visione su monitor (TV o Computer)
La stampa rende meno visibili le parti in ombra : "chiude le ombre", ma rende meglio le alte luci (sempre che non siano del tutto "bruciate")
la proiezione su schermo (diapositive e digitali) rende più visibili i dettagli in ombra, ma porta più facilmente a desaturare le alte luci.
la visione su monitor ( immagine retro-illuminata) aumenta sensibilmente la leggibilità delle ombre, ma sopporta ancor meno una sovra-esposizione delle alte luci.
La cosa migliore da fare è ... fare pratica.
Molto sinteticamente si può riportare il vecchio detto : nelle stampe si espone per le ombre ( si abbonda un pò nella esposizione), nelle trasparenze si espone per le luci ( si è un pò avari di luce)
Ma non scordiamoci di non esagerare. Quindi...pratica, pratica, pratica.
Copertina